Era quasi l’alba quando riprese i sensi. Rimise a posto i pensieri e riuscì a capire dove si trovasse.
L’autocisterna era rovesciata su un fianco e il terribile odore che le bruciava le narici la fece realizzare con un brivido che il carico doveva essersi sparso sulla strada. Sperò con tutte le se forze che la perdita fosse minima, d’altronde chi poteva sapere quanto era pericolosa quella roba. Sganciò la cintura e cadde sul fianco sinistro, contro la portiera. Il finestrino si spaccò e le tagliò un gomito. Si rimise in piedi a fatica nel poco spazio che aveva a disposizione e si arrampicò fino alla portiera del lato del passeggero. Con uno sforzo immane riuscì ad aprirla, e utilizzando i sedili come appiglio uscì dal camion. Una volta fuori dalla vita in su strizzò gli occhi cercando di mettere a fuoco il paesaggio circostante.
All’orizzonte riusciva a scorgere una luce pallidissima, presto sarebbe stato giorno. Facendo leva sui gomiti tentò di uscire dalla cabina, e riuscì ad issarsi sul fianco dell’autocisterna. Qualcosa di scivoloso la fece cadere dal lato opposto. Ad attenderla, a terra, erano parecchie tonnellate di rifiuti tossici.
Si dimenò, terrorizzata, tentò freneticamente di rimettersi in piedi, ma più si agitava e più ricadeva a faccia in giù sulle scorie, e il taglio sul gomito, a contatto con quella massa nauseabonda, le inviava scariche di dolori atroci che si irradiavano fino al petto. Tentò di gridare, ma si rese conto che qualcosa le serrava la gola.
D’improvviso si fermò, quando notò tre corpi sulla strada davanti a lei. Come in una trance si rimise in piedi, e fece un passo indietro, incredula. Scivolò di nuovo.
Li ho uccisi, pensò. Ho ucciso tre persone.
La nausea le salì fino agli occhi e vomitò in un punto indefinito alla sua destra. Camminò carponi fino al ciglio della strada, senza distogliere gli occhi dai corpi, come se avesse paura che si potessero risvegliare e puntarle contro un dito accusatore. Quando sentì l’erba sotto le mani cercò l’appiglio di un albero e riuscì ad alzarsi, ancora tremante.
“Oddio, è lei” disse una voce nell’oscurità. Il suo cuore sembrò fermarsi un attimo.
“Scappa, idiota! Vuoi farti ammazzare?” intimò un’altra voce. Il bosco impazzì di fruscii e passi frenetici si allontanarono da lei verso il nulla.
“Aiuto…” gracchiò, tentando disperatamente di non perdere i sensi. Il dolore era insopportabile. Era ricoperta da rifiuti, il braccio sembrava volersi staccare, l’odore le perforava il cervello e la consapevolezza di aver ucciso tre persone le offuscava la mente.
Una forza non sua le permise di muovere pochi passi incerti, poi riprese confidenza col terreno e accelerò. Ben presto correva. Non seppe mai quanto corse, ma quando la luce rosea dell’alba invase il bosco si fermò. Si mise una mano sul petto e cercò di respirare. Forse non aveva respirato finora, forse non avrebbe respirato mai più. Il sangue che le colava dal gomito le aveva bagnato il fianco sinistro. Le gocce che cadevano a terra la ipnotizzavano. Forse era davvero la fine. Sentiva che il terreno le mancava sotto i piedi. Sopraffatta dal dolore e dalla confusione si appoggiò ad un albero con la mano. Non così, si ripeteva, non così. Lacrime calde le si affollarono negli occhi. Troppo calde.
“Aaaaaaah!” gridò, portandosi entrambe le mani sul viso. Non riusciva a credere a quanto bruciasse. Persino le sue stesse mani sembravano aumentare il calore. Perse di nuovo l’equilibrio e cadde all’indietro. Quando riaprì gli occhi, l’albero che le stava davanti era in fiamme. Miracolosamente si riscosse, e riprese a scappare.