Capitolo 45 – Segretaria e segretaria

Un po’ di azzurro cielo scivolò sulla punta dell’indice: le unghie della mano destra erano sempre un po’ pasticciate. Fece scorrere il dito sulla scrivania per togliere lo smalto in eccesso, avrebbe coperto la macchia spostando il portamatite. Terminò il pollice, facendo un pessimo lavoro, e cominciò a soffiare delicatamente sulle dita, annoiata, facendo vagare lo sguardo per la stanza, sulla parete grigia che non le era permesso di decorare, sul pavimento di finto marmo, sulla sterile lampada d’acciaio (era orrenda, sembrava di stare in una sala operatoria) che penzolava come un impiccato dal soffitto innaturalmente alto, sulle scale che portavano all’ufficio dell’Agente Tempesta (quel marpione travestito da John Dillinger, chissà dov’era), sulla porta da cui non entrava mai nessuno. Almeno fino a quella mattina.

“È questa,” affermò SuperFra quando furono in fondo al corridoio, “sono sicura”. Le guardie all’ingresso di cui si era tanto preoccupata erano stranamente assenti (fenomeno del quale era probabilmente complice il bar lì di fronte), ed erano entrati senza problemi.

“Segreteria,” mormorò SuperJay leggendo la scritta sulla porta. “Ma sei sicura che non sia la segreteria della polizia e basta?”

“No, non segreteria, Segreteria”, la corresse SuperFra.

“E io che ho detto?”

“No, tu hai detto segreteria.”

SuperJay le rivolse uno sguardo confuso.

“Si pronuncia Segreteria. Con la lettera grande.”

“Ma c’è scritto segreteria.”

“C’è scritto Segreteria.”

“Ma è tutto in maiuscolo!”

“Sì ma la S si pronuncia più maiuscola.”

“Ma non ha-”

“E basta!” Sbottò SuperSam, mettendo fine a quell’imbarazzante scambio di ruoli, “entriamo o no?”

Con sua somma sorpresa, la porta si aprì. Diede una rapida controllata all’orologio per assicurarsi che non fosse l’ora della donna delle pulizie (ma tanto non era il giorno giusto) e osservò i tre bizzarri individui entrare, le unghie ancora davanti alla bocca.

Ci fu un imbarazzante scambio di sguardi. O meglio, i tre individui la fissarono mentre lei non riusciva a distogliere gli occhi da quello che aveva tutta l’aria di essere uno scolapasta sulla testa di una di loro.

“Buongiorno,” Disse infine.

“Qui le domande le faccio io, cocca”, disse la più bassa dei tre, quella con SJ ricamato sul petto, superando gli altri e piazzandosi davanti alla scrivania. Elektra alzò un sopracciglio.

“La scusi,” disse il ragazzo con i guanti rosa, massaggiandosi una tempia, “quello che intendiamo dire è…uhm, come porla in modo educato…ecco, dovremmo entrare negli archivi.” E indicò elegantemente la porta di vetro alle spalle della Segretaria.

Elektra spalancò i grandi occhi azzurri.

“No”, disse candidamente.

“Lei non sa chi sono io!” Esplose SuperJay, alzando un indice verso il soffitto in quello che credeva essere un gesto drammatico.

“Signorina…Pinie-ehm…Pinien…wal-…Pinienwalder”, disse SuperFra, leggendo la targhetta sulla scrivania, “so che è difficile da credere, ma si fidi, è ancora più difficile da spiegare: dobbiamo sapere dove si trova la professoressa Schiaffino.”

La Segretaria alzò un sopracciglio. Seguì un momento di silenzio.

“Mi stia bene a sentire, signora segretaria-” cominciò SuperJay, sporgendosi sulla scrivania per arrivare più possibile al viso della sua avversaria.

“Signorina,” la corresse questa, “e Segretaria.”

“D’accordo, signorina segretaria.”

“È ‘Segretaria’, non segretaria”.

SuperJay la guardo in silenzio.

“Con la maiuscola.”, precisò Elektra.

“Sul serio, come si pronuncia una maiuscola?” Sbottò la supereroina, allontanandosi.

“Signorina Segretaria,” intervenne nuovamente SuperFra, facendo del suo meglio per mantenere la calma, ma subito si riscosse. “Anzi, no. Niente signorina Segretaria. Ascolta Elektra, o ci dai il fascicolo o ce lo prenderemo con la forza!” E, per buona misura, sbattè un pugno sul tavolo.

La Segretaria si strinse nelle spalle. “Suppongo di sì,” disse, calma. I tre supereroi si scambiarono sguardi confusi.

“Come, prego?” Fece SuperFra.

“Sì, voglio dire, non posso fare niente contro lui” e fece un gesto con il mento rivolta a SuperSam, che spalancò gli occhi, “e la porta è aperta.”

“Tutto qui?” Disse SuperFra, incapace di trattenersi, “il più sfigato del mondo può entrare, minacciarla e prendere tutti i segreti che vuole? Bel sistema di sicurezza!”

La Segretaria fece un sorrisetto a mezza bocca.

“Non è così semplice,” cantilenò, melliflua. “Ad ogni pratica viene assegnato un numero a sei cifre. Completamente casuale. E poi viene archiviata. In maniera completamente casuale. Nessun ordine logico né numerico. Prego,” aggiunse, spingendo la sedia da una parte, “cominciate pure a cercare.”

SuperSam deglutì rumorosamente.

“Ma…” SuperFra fece un involontario passetto all’indietro, cercando di apprezzare meglio le dimensioni della stanza davanti alla segretaria, separata da loro da una parete di vetro. “Quindi è un caos là dentro.”

Elektra annuì soddisfatta.

“E voi come fate a prendere un fascicolo?”

Il sorrisetto della Segretaria si allargò.

“Oh.” Si lasciò sfuggire SuperSam. “E se li ricorda uno per uno?”

Silenzio. Elektra sembrava molto compiaciuta.

“E immagino che non…”

La Segretaria scosse la testa, senza smettere di sorridere.