Capitolo 37 – Amore paterno

“Attento con quegli aghi.”

“Capirai, come se ti facessero qualcosa”, mormorò Luigi Uva, intento ad apportare gli ultimi ritocchi al costume di Luciphera. Le stava a pennello.

“Lo sento il dolore,” si difese seccamente lei, “guarisco, ma il dolore lo sento.”

“Qui non guarisci però”, disse dolcemente lo stilista, accarezzandole il gomito perennemente sanguinante. La supercattiva lo ritrasse con rabbia.

“Lo so,” ringhiò, “deve avere qualcosa a che fare con il fatto che me lo sono ferita prima di cadere nelle scorie. È sempre così. Fa un male cane.”

“Lo immagino, piccina. Stavi dicendo?”

“Ah, sì,” si riscosse Luciphera, lasciando che lo stilista le alzasse le braccia per mettere altri spilli, “quei tre si sono presi la professoressa. La MIA professoressa, capito? Pensavo che semplicemente fosse andata via da casa, per paura, ma invece-ahi! Occhio-ma invece è sparita anche sua figlia! La sua ex moglie ha cambiato città, quindi non perdo neanche tempo a cercarla, e lei è sparito nel nulla. Ho trovato un giornale, pare che ce l’abbiano proprio loro. Il ‘SuperTeam’, si fanno chiamare. Lo sapevi? Che nome idiota.”

“Mmh-mmh”

“Almeno il mio ha un significato, ma SuperTeam!? Pietoso.”

“Già.” Lo stilista si chinò per controllare le cuciture della gamba della tuta.

“Non so come fare a prenderla. Se li chiamo qui e li uccido non la troveremo mai! Pensavo che l’assistente fosse più utile, quell’incapace…”

“Su, piccina, non essere ingiusta. La bomba te l’ha costruita.”

“Sì, ma-”

“Anche la porta nuova è piuttosto bella.”

“Ma a me serve altro!” Si difese Luciphera, cercando di non sembrare troppo piagnucolosa.

“Lo so piccina, ma non puoi dire che Emiliano non ci sia stato utile.” Concluse Uva, passando alla schiena e riflettendo su come l’applicazione di due alucce da pipistrello sarebbe stata un tocco di classe. O era meglio un mantello? Avrebbe dovuto pensarci un po’.

“No, utile è stato utile,” ammise la supercattiva, “ma non ha idea da dove vengano i miei poteri. Né come potenziarli. E nemmeno-” Luigi Uva le mise le mani sulle spalle e la girò di scatto, di modo da poterla guardare in faccia.

“Nemmeno cosa?” Disse severamente. Luciphera distolse lo sguardo.

“Niente,” mormorò. Lo stilista si lasciò andare in un profondo sospiro.

“Ne abbiamo già parlato, tesoro. Perché? Non ti piaci così?”

“È che fa male,” disse piano Luciphera, sempre senza guardarlo.

“Ma ti rende straordinaria! Non è un piccolo prezzo da pagare? Vorresti essere come tutti gli altri?” La supercattiva scosse la testa.

“E allora! Tu sei speciale, piccina. Puoi avere tutto quello che vuoi.”

Luciphera annuì, pensando con amarezza alla nuova vita che avrebbe dovuto iniziare in Germania, e che il SuperTeam le aveva portato via provocando l’incidente. Era quello che voleva, e non poteva averlo. Si sarebbe accontentata della vendetta, ma…guardò brevemente gli occhi verdi del suo alleato. Anche conquistare il mondo sarebbe stato divertente, dopotutto, pensò, come per volersi convincere. Si sforzò di sorridere. Lo stilista ricambiò con affetto e la strinse a sé.

“Siamo una squadra, piccina, io e te. Possiamo avere tutto. Ci serve solo quella professoressa, ci aiuterà a controllarti e potenziarti. Semplicemente devi ricattare il SuperTeam anzi che ucciderli direttamente. No?” Luciphera annuì di nuovo, poco convinta.

“Brava, piccina.” L’abbraccio di Uva si fece più stretto. Fissando un punto alle spalle dello stilista con i grandi occhi neri spaventati, Luciphera gli appoggiò la testa sulla spalla, pensando al padre che non aveva mai avuto.