Capitolo 35 – Centrale dolce centrale

Luciphera passeggiava nervosamente, godendosi il suono delle sue nuove scarpe che echeggiava nella grande stanza di cemento. Poco lontano, Luigi Uva armeggiava con uno strano tessuto, intento a confezionare la miglior uniforme da supercattiva della storia. Ogni tanto lanciava un’occhiata premurosa a Luciphera, per assicurarsi che si stesse abituando bene agli stivaletti. Sembrava abbastanza pratica con i tacchi, ma comunque avevano una forma particolare (aveva lavorato molto per farli assomigliare il più possibile ad uno zoccolo caprino, pensando che le avrebbe dato un aspetto più “diavolesco”) e voleva evitare imbarazzanti cadute.

Luciphera lanciò un grido ad Emiliano, indaffarato al centro della stanza, dove alcuni scalini conducevano ad una zona depressa. “Come sta andando lì?”

“Per favore,” implorò lui da dentro la tuta anti radiazioni, “non dormo da tre giorni e questo affare è pieno di buchi!” Sollevò un braccio per mostrare uno squarcio sotto l’ascella. “Non credo che-”

“Ti ho chiesto come stai?” Gli abbaiò Luciphera “scusa, ti ho chiesto-Uva, gli ho chiesto come sta per caso?” Lo stilista scosse la testa. “Ti ho chiesto,” disse, scendendo con attenzione gli scalini per avvicinarsi a quello che una volta era il reattore, “come sta andando con questo. E ringrazia che c’era una tuta, altrimenti non avresti nemmeno quella.”

Emiliano sospirò, preparandosi ad aggiungere un’altra bruciatura alla sua collezione. Si era accresciuta molto nelle ultime ore.

“Non bene,” ammise, “qui hanno smantellato quasi tutto, non c’è abbastanza roba per farlo funzionare.”

“E per farlo esplodere?”

A Emiliano si seccò la gola. “Beh, sì. Ma-”

“Ottimo,” lo interruppe la supercattiva, continua a lavorare.” E risalì gli scalini per avvicinarsi a Luigi Uva. Passò la mano sulla stoffa che rivestiva il manichino, orgogliosa. Non aveva mai toccato nulla di simile. Era come lattice, ma…accese la punta della dita. Niente. Resisteva ad ogni tipo di calore. Per essere una seconda scelta, quell’assistente da strapazzo si era rivelato piuttosto utile. Lo stilista intuì i suoi pensieri e le rivolse un mezzo sorriso.

“Vedrai quando sarà finito, piccina,” disse.

La supercattiva ricambiò timidamente il sorriso.

“La strada è a posto?” Chiese Luigi Uva.

“Sì,” lo assicurò lei, “anche se dovessero mettersi a togliere tutti gli alberi caduti ci vorrebbero giorni. Comunque dopo la vado a controllare, al massimo ne faccio cadere un altro paio.” Lo stilista annuì, e Luciphera decise di lasciarsi andare e dargli un’affettuosa pacca sulla spalla prima di allontanarsi nuovamente per esplorare le stanze della centrale abbandonata. La sua preferita in assoluto era la vasca di raffreddamento, per la quale aveva grandi progetti. Si soffermò a lungo in quella stanza, immaginando un complicato sistema di carrucole e l’odore di acido che l’avrebbe riempita a breve.

Quando finì il suo giro di ricognizione tornò nella stanza del reattore.

“Pensavo,” disse, guardandosi intorno, “che dovremmo mettere questa stanza in sicurezza. Non che creda di fallire,” si affrettò ad aggiungere, “è solo che…se poi cercano di entrare? Dovrebbe esserci qualcosa che glielo impedisce, ecco.”

Luigi Uva sollevò gli occhi dal suo lavoro e li rivolse al soffitto, pensoso.

“Beh,” mormorò, “una porta blindata, per esempio?”

“C’è già una porta blindata,” disse la voce di Emiliano, soffocata dal casco della tuta, “siamo in una centrale nucleare!”

“Sì,” spiegò pazientemente lo stilista, “ma quella si apre meccanicamente. Io pensavo più a qualcosa con un sistema unico, qualcosa che anche nel caso gli venisse in mente di disattivare la bomba li facesse perdere talmente tanto tempo da rendere inutili i loro sforzi. A proposito,” e lanciò a Luciphera uno sguardo significativo, “la banca è ancora inagibile, piccina. E tanto dovevi uscire comunque oggi, no?”

Gli occhi neri della supercattiva si spalancarono improvvisamente. Ma certo, era così semplice!

“Esco,” disse, “troverò un modo di portarla qui.” E corse fuori dalla stanza.

Quando fu uscita Emiliano si allontanò di qualche passo dal reattore e si sfilò il casco, lieto di poter respirare di nuovo.

“Dove va?” Ansimò.

“Lo vedrai,” rispose calmo lo stilista, senza alzare gli occhi dal manichino. “Comunque credo che stasera avrai compagnia. E un sacco di lavoro in più.”

“Vuole montare una porta nuova?” Disse Emiliano, l’esasperazione nella voce.

“Solo una nuova serratura.”

“È assurdo! Io sono un fisico nucleare, non un meccanico, non sono capace di-”

“Ti stupiresti di quanto in fretta puoi imparare quando Lucy si arrabbia. A proposito, solo perché lei non è qui non significa che sei in vacanza.” Fece lo stilista e, con estrema calma, estrasse una pistola dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni.

Emiliano si calcò il casco in testa con tanta fretta che per poco non mancò il buco, e tornò ad armeggiare con la futura bomba.