Capitolo 34 – Un eroe sotto stress

Per una volta era SuperSam ad avere mal di testa.
Non era passato nemmeno un giorno dall’incontro con la supercattiva, e da allora la folla si era triplicata e le due colleghe litigavano da quando aprivano gli occhi a quando andavano a dormire. Non si interrompevano nemmeno durante i pasti, e l’asse da stiro era diventata un campo di battaglia di pezzetti di cibo sputazzati tra un urlo e l’altro. SuperFra era costretta a indossare il casco 24 ore su 24, avendo cura di nascondere sotto tutti i capelli per evitare di attirare gli oggetti. SuperJay, che gridava più spesso agli oggetti inanimati che alle persone, sembrava aver totalmente perso il senso del volume, e SuperFra faceva fatica a parlare più forte di lei, con il risultato che ogni loro discussione era una lotta senza fine a chi avrebbe raggiunto gli ultrasuoni per prima. In quanto a SuperSam, non parlava dal giorno prima, avendo rinunciato ad intervenire.
Artemio Tondelli era stato tanto gentile da lanciare prontamente attraverso una finestra momentaneamente aperta mattina stessa un giornale che conteneva un articolo (ovviamente scritto da lui) che accusava il SuperTeam della sparizione della professoressa Schiaffino, perché a quanto pareva era scomparsa dalla faccia della Terra e la polizia si rifiutava di dare informazioni su di lei: secondo il reporter era chiaro come il sole che le autorità non volessero ammettere che tre supereroi avevano rapito una professoressa universitaria proprio sotto il loro naso, e adduceva come prova la macchia di terra bruciata sotto la finestra, facendo assurde supposizioni sul legame tra il SuperTeam e le rapine in banca. Inoltre affermava che di certo la polizia non li aveva ancora arrestati perché li temeva, o temeva che non avrebbero mai più ritrovato la professoressa, dato che era evidente che non la nascondevano in casa. Di certo le autorità li tenevano d’occhio in segreto, aspettando che lasciassero il loro Quartier Generale per poi seguirli.
L’articolo era dannatamente convincente, ma di certo Artemio Tondelli non avrebbe vinto il premio nobel per la discrezione, dato che l’aveva lanciato direttamente a loro. Se non fosse stato una persona tanto fastidiosa si sarebbe pensato che avesse voluto avvertirli piuttosto che vantarsi di averli messi all’angolo.
In ogni modo, i curiosi continuavano ad appostarsi in massa davanti alla casa dei supereroi, timorosi ma non meno determinati.
SuperSam si tolse gli occhiali per stropicciarsi gli occhi. Le voci che venivano dal piano di sopra lo esasperavano.
“…non ho più voglia! Fine della discussione! Parla da sola!”
“Sei una codarda, io cerco di parlarti e invece tu cerchi solo di scappare e…”
“Jay, basta! Ma come fai a non vedere che…”
“…non è la soluzione, dico solo che noi come ogni supereroi abbiamo il dovere morale…”
“…in mille pezzi, e tutto quello che troveranno di te sarà…”
“…persino Spongebob ha dei valori importanti…”
“…e sono stufa delle tue continue citazioni sbagliate e della tua inutile…”
Le voci continuavano a sovrapporsi, impedendo a SuperSam di sentire i suoi stessi pensieri. Era come se un’idea cercasse di affiorare, ma non sapeva cosa. Avrebbe avuto tanto bisogno di una passeggiata, di un momento lontano dalle grida, ma la paura della reazione della folla gli impediva di uscire ormai da diversi giorni. Fortunatamente le scorte di cibo avrebbero retto ancora per un po’.
Un bussare concitato si aggiunse agli elementi di disturbo. SuperSam guardò l’orologio e affondò il viso tra le braccia incrociate sull’asse da stiro. Puntuale come sempre, Artemio Tondelli faceva la sua intrusione quotidiana bussando con insistenza alla porta, nella speranza che gli aprissero. Nessun altro aveva osato farlo, per ora. Forse la folla aveva davvero timore del SuperTeam, e si appostava davanti casa loro come i fanatici si appostano davanti alla casa di un serial killer. I primi giorni aveva sperato che a bussare fosse Biggi, per il quale, nonostante avesse ben altro a cui pensare, era ancora preoccupato. Rimanevano troppe questioni in sospeso. Se solo avesse potuto ragionare in santa pace…
“Vai via!”, gridò, in preda all’esasperazione. Miracolosamente, il bussare cessò. Poi riprese un istante dopo.
Senza avere tempo di collegare il cervello con i movimenti, SuperSam si alzò di scatto, marciò giù per le scale fino all’ingresso, aprì la porta, afferrò il reporter per il bavero e, avendolo trascinato dentro e gettato a terra, la richiuse. Dal prato giunsero alcuni mormorii di stupore ma SuperSam, furioso, non li sentì.
“Bel posticino,” esordì il reporter, puntellandosi su un gomito per tirarsi su, mi piace come avete-” il supereroe si gettò di nuovo su di lui.
“La devi smettere!” Gridò SuperSam furioso, il suo naso direttamente contro quello del giornalista. “Abbiamo già abbastanza a cui pensare! Hai idea di cosa voglia dire sentire urlare 24 ore su 24?! Non riesco a pensare!”
Per la prima volta il reporter sembrò davvero spiazzato. Tentò di balbettare qualcosa, ma SuperSam lo interruppe.
“Sta’ zitto! Non ho finito!” Ruggì, spingendolo contro un muro e senza mollare la presa sul colletto. “Che è successo a Biggi?”
“Non lo so, non lo vedo da giorni! Io faccio la posta qui da voi!” Si affrettò a rispondere il reporter, tentando di liberarsi dalla presa di SuperSam. Per tutta risposta, questi lo spinse contro la parete opposta, facendo tremare l’intera struttura
“Perché ci hai lanciato il giornale? Credi di farci paura? Di essere divertente?”
Gli occhi del giornalista si spalancarono dietro gli occhiali storti.
“Non sono stato io!” Si difese. SuperSam spinse fermamente una mano sul il petto del giornalista, bloccandolo contro il muro, e con i denti si tolse un guanto dall’altra. Il reporter fissò la mano libera, confuso e spaventato. Per sua sorpresa, il supereroe gli infilò un dito nella bocca semiaperta.
“Aaaah!” Gridò Alberto Tonelli, “Dio, è salatissimo!”
“Chiamami SuperSam,” sibilò il supereroe con una punta di orgoglio. “Perché hai lanciato il giornale?”
“Ma non sono stato i-aaaah!” SuperSam estrasse il dito prima che il giornalista avesse la prontezza di morderlo. “Ma è questo che fai tu? Sali le-aaah! Basta! Ho sete!”
“Perché hai lanciato il giornale col tuo articolo?”
“Non sono stato io!” Ripeté il reporter per l’ennesima volta, “è stata la rossa!” Si affrettò ad aggiungere, guardando il dito minaccioso che si avvicinava alle sue labbra, “ha lanciato il giornale attraverso la finestra aperta, non sono stato io, è una pazza! Pensavo volesse la vostra attenzione!”
SuperSam ebbe un attimo di confusione. “Come?” Disse.
“Non poteva esserci il mio articolo,” spiegò il giornalista, “deve uscire oggi!”
Il supereroe aggrottò le sopracciglia, pensoso. Poi si riscosse.
“Cosa sai della professoressa?”
“Niente! Davvero!”
“Non siamo stati noi, capito?” Ringhiò il supereroe, “sarà meglio che lo spieghi a quella gente là fuori.”
“Ma…d’accordo, d’accordo!” SuperSam ritirò il dito. “Posso avere un bicchiere d’acqua?”
“Compratela!” Ruggì il supereroe, aprendo la porta con la mano libera e spingendo fuori il reporter con l’altra.
Non appena la ebbe chiusa si rese conto in un lampo di cosa aveva fatto. Le ginocchia gli tremavano, e si accasciò contro il muro. Non era mai stato così impulsivo prima. O violento. Ma, d’altronde, nemmeno così stressato. L’adrenalina che aveva in circolo gli permise di tagliare per un attimo le grida dei piani superiori, e si sforzò di concentrarsi sulla breve conversazione avuta con il giornalista, più confuso di prima.