Emiliano si trovava in una stanza circolare vicino ad una grande stufa. Faceva un gran caldo. Si guardò attorno e si accorse, con sua somma sorpresa, di essere in compagnia della professoressa Schiaffino, che sedeva in una poltrona poco lontano.
“Professoressa,” balbettò, stupito, “credevo che fosse sotto protezione…”
“Chiamami Gloria, Emiliano,” lo interruppe la docente, “volevo dirti che intendo andare in pensione così puoi avere la mia cattedra.”
Emiliano strabuzzò gli occhi.
“Davvero?” disse, in un soffio, “ma…lei è così giovane…”
“Ma tu sei più giovane! E più bello, anche. Ho deciso di essere io il tuo assistente d’ora in poi. Quello intelligente dovrebbe essere il professore, no? Tu sei molto più intelligente di me. Non posso più vivere con il rimorso di aver schiavizzato un ragazzo così geniale ed attraente. Dopo vieni a casa mia, ti faccio sposare mia figlia!”
Il cuore di Emiliano ebbe un sussulto al pensiero dei grandi occhi scuri della figlia del professore.
“Maddie?” sussurrò. “Ma…lei nemmeno mi guarda!”
“Sciocchezze, figlio mio!” esclamò la professoressa Schiaffino, balzando in piedi, “È pazza di te! Non parla d’altro! Sarà un gran bel matrimonio. Schiaffino-Tretazzine, che unione fortunata!”
Per poco il giovane assistente non si commosse a sentire il suo cognome pronunciato bene. Nei due anni che aveva lavorato per il professore, mai una volta era stato chiamato con un nome che non fosse “Trazzini”. All’improvviso Emiliano sentì un grande calore a livello delle spalle, e si rese conto che la professoressa lo stava scuotendo. Incredulo, le guardò le mani, solo per scoprire che in realtà erano ferri da stiro caldi.
“Ma che succede?” domandò, confuso e spaventato.
“Non insistere, aspetta un po’!” disse la professoressa, con una voce che non era la sua. Emiliano tentò senza successo di liberarsi dalla presa dei ferri da stiro.
“Che?”
“No!” esclamò una voce femminile. Gli occhi dell’assistente si posarono su Maddie, appena comparsa. Tentò di chiederle da dove era arrivata, e quando, ma non riuscì a proferir parola. “Lo voglio ora!” stava gridando Maddie, “non ho fatto tutta quella fatica per niente.”
“Forse dovevi essere più delicata, piccina.” disse la professoressa con voce maschile. Nel frattempo aveva in qualche modo riacquistato le mani, essendo scomparsi i ferri da stiro. Emiliano era sempre più sconvolto. Come se la situazione non fosse già abbastanza strana, la Schiaffino prese a schiaffeggiarlo con mani caldissime.
“Basta!” la implorò Emiliano, cercando di fermarla, ma sembrava essere improvvisamente incapace di muovere le braccia. “Basta! Per favore…basta!”
—
Luciphera aveva afferrato il suo prigioniero svenuto per le braccia, e lo stava scuotendo con la speranza di farlo rinvenire.
“Non insistere, aspetta un po’!” disse Luigi Uva alle sue spalle.
“No!” esclamò la donna, “Lo voglio ora! Non ho fatto tutta quella fatica per niente.”
“Forse dovevi essere più delicata, piccina.” le fece notare lo stilista, mentre lei cominciava a schiaffeggiare il prigioniero.
“Basta…” mormorò questo. Piena di speranza, Luciphera lo schiaffeggiò con maggior vigore. “Basta….per favore…basta…”
Alla fine Emiliano aprì a fatica gli occhi, mettendo lentamente a fuoco la donna che gli stava ad un centimetro dalla faccia. Pensò che non l’aveva mai vista prima, ma poi gli balenò in testa l’immagine di una finestra che andava in frantumi e di qualcuno che lo tirava con forza via dal letto e contro il muro. Ecco come era finito lì.
“Buongiorno,” disse lei, mollandogli un ultimo ceffone, “vuoi un caffè?”
“Piano…” suggerì una voce maschile. Emiliano ne cercò la fonte nella stanza e i suoi occhi si posarono su Luigi Uva, che lo guardava senza eccessivo interesse.
“Ascoltami,” disse la donna, afferrando il giovane assistente (che solo allora si accorse di essere legato ad una sedia) per la mandibola, “il SuperTeam ci cerca. Dobbiamo andare via da qui. Chiaro?”
Non era chiaro per niente, ma Emiliano, intuendo che non era una buona idea contraddirla, annuì comunque.
“Ce ne andiamo alla vecchia centrale nucleare. Ok?”
Emiliano sgranò gli occhi. “Ma,” tentò di replicare, “è ancora in via di smaltimento, non ci va mai nessun-” uno schiaffo lo interruppe, colpendolo sulla bocca e facendogli sanguinare il labbro.
“Lo so, io trasportavo i rifiuti da quella nuova, una volta al mese mi facevano fare il carico anche alla vecchia. Smaltire scorie nucleari non è mai stata una priorità qui.” aggiunse poi, rivolta allo stilista. Questi annuì e mormorò qualcosa a proposito di politici corrotti e mancanza di fondi.
“È pericoloso!” esclamò Emiliano, che cominciava a farsi prendere dal panico, “ci sono scorie radioattive e uno dovrebbe conoscere la struttura e-” altro schiaffo.
“Tu conosci la struttura! E le scorie. E tutto quello che ci serve. Io e il mio…ehm…” Luciphera rivolse a Luigi Uva uno sguardo incerto, “…partner ne abbiamo parlato mentre tu eri nel mondo dei sogni. È stata la Schiaffino ad ordinare la chiusura della vecchia centrale per costruire la nuova, tu lavori con lei da due anni, la conosci per forza. E una volta lì ci sarai utile anche per altre cose.”
Emiliano avrebbe deglutito sonoramente, se non avesse avuto la gola così secca.