Capitolo 32 – La gatta morta

“Oh, no, è ancora lì!” sibilò SuperSam, frenando di colpo e indicando Marta, che apparentemente non si era mossa da quella mattina. Avendo scarabocchiato il lampione fin dove riusciva ad arrivare, sedeva ora a gambe incrociate e aveva attaccato il marciapiede.

“Devo dire che ammiro la sua costanza,” mormorò SuperFra con un sorrisetto.

“Cambiamo strada,” supplicò SuperSam, “per favore, non sono pronto per un altro attacco!”

“Non c’è un’altra strada,” spiegò SuperJay, “non così poco frequentata. E poi ormai siamo quasi a casa, te la attacchi al collo e la molli lì con gli altri fan, non se ne accorgerà nemmeno.”

SuperSam si morse un labbro, e dopo un attimo di esitazione cominciò a spingere il monopattino in direzione di Marta. Non appena i supereroi furono abbastanza vicini, questa alzò la testa dalla gigantesca S che stava decorando e si alzò lentamente.

“Ehi,” disse, con quella che pensava essere una voce sexy, ancheggiando in direzione di SuperSam. Questi le rivolse uno sguardo stupito.

“Uuh, ha cambiato tecnica,” sussurrò scherzosamente SuperFra (che in fondo in fondo si sentiva un po’ in colpa per come aveva trattato la collega poco prima). SuperJay accennò un sorriso forzato.

“Ehm, Marta,” la salutò SuperSam, “che piacere rivederti. Beh, a dopo,” e fece per andarsene, ma questa gli si piazzò davanti.

“Oh, ci vedremo dopo, sì,” continuò la ragazza, senza abbandonare la voce da gatta morta che suonava più come una gatta morente, “Ci vedremo eccome.” Marta puntò il tappo del pennarello contro il petto di SuperSam e cominciò a disegnare dei cerchi, sbattendo le ciglia sugli occhi verdazzurri.

“Ehm, ok,” disse lui, cercando di svicolarsi.

“Ci vediamo, SuperSam,” disse la ragazza, enfatizzando esageratamente il suo nome e facendogli l’occhiolino, “A dopo…SuperSam”. Di nuovo quella strana enfasi.

“Vuoi dire che ci lasci andare?” fece SuperFra, stupita. Marta la squadrò.

“Ma certo,” disse, “tutto per il mio…SuperSam.”

“La finisci di ripetere il suo nome così? Sei inquietante! E dammi quel coso,” sbottò SuperJay, strappandole il pennarello dalle mani, “mi agita.”

“Come volete,” cantilenò Marta, “bye bye…SuperSam!” e fece nuovamente l’occhiolino.

Incredulo, il supereroe si allontanò insieme alle colleghe.

“Ma che le è preso?” sussurrò SuperSam, che ancora non riusciva a credere di essersi liberato così facilmente dalla sua fan numero uno.

“Boh, starà provando nuove strategie,” ipotizzò SuperFra, tra il divertito e il sospettoso. Nonostante Marta fosse un tipo strano c’era qualcosa di ancora più strano nel suo comportamento. Non che la conoscesse abbastanza per dirlo, era solo una sensazione. Se la scosse di dosso come un moscerino e decise di non pensarci più.

“Eccoli,” disse SuperJay tra i denti, avvistando i fan accampati davanti alla casa.

Artemio Tondelli aveva fatto comparire una sedia da regista, e sedeva tranquillo a leggere come fosse nel salotto di casa sua. SuperFra ebbe un moto d’odio verso il giornalista.

Non appena il primo fan avvistò i supereroi le macchine fotografiche cominciarono ad apparire. Stavolta nemmeno SuperJay era dell’umore, e si fece strada verso il portico con i colleghi.

“Fiuu,” sospirò SuperSam quando furono in casa, “non so se mi ci abituerò mai,” e scansò una tendina per guardare fuori. Artemio Tondelli, che non si era mai alzato, lo salutò amabilmente togliendosi un cappello immaginario e tornò al suo libro.

“Non voglio nemmeno immaginarmi cosa farà quel tizio una volta che verrà fuori la storia della professoressa,” mormorò SuperFra, “speriamo almeno che sia chiaro sul fatto che non abbiamo fatto niente.”

“Stava per dirci qualcosa,” rifletté SuperSam, “dovremmo andare a trovarla di nuov-ehi! Jay, dove vai?”

“A letto,” gli rispose secca la collega, sparendo su per le scale. SuperSam e SuperFra si scambiarono uno sguardo significativo.

“D’accordo,” disse lei, rompendo il silenzio, “aspettiamo un giorno o due magari, poi torniamo dalla professoressa.”

Il supereroe annuì, senza sapere che non l’avrebbero mai trovata.

Intanto, da qualche parte, una Segretaria con lo smalto azzurro cielo archiviava una pratica contrassegnata da un numero a sei cifre. Il rumore dei suoi tacchi risuonò nella grande stanza mentre ritornava alla scrivania.