Capitolo 31 – Ospiti a cena

Luciphera si precipitò ansimando nella stanza dello stilista, che stava confrontando due disegni per decidere quale fosse il migliore. Questi le rivolse uno sguardo vago e tornò ai suoi schizzi.

“Non dovevamo avere un ospite a cena?” domandò. Luciphera si gettò su una poltrona e riprese fiato.

“L’hanno trovato prima loro,” ansimò. “Quei tre. Te ne ho parlato, erano-”

“Sì,” tagliò corto lo stilista. “È stata una bella lotta?”

Luciphera si sentì arrossire. “Me ne sono andata,” ammise. Luigi Uva si girò per lanciarle uno sguardo divertito.

“Erano in tre! E non so nemmeno cosa possono fare…”

“Non ti devi giustificare, piccina,” disse lo stilista, alzandosi ed appoggiandosi alla scrivania. “Anch’io me ne sarei andato.”

“Davvero?” quello annuì.

“Sul serio non sai dei loro poteri?” le chiese. Luciphera scosse la testa. Lo stilista sorrise. “Io sì”, disse.

“Come fai a saperlo?” domandò la donna, raddrizzandosi sulla poltrona.

“L’avevo letto sul giornale,” rispose Uva, stringendosi nelle spalle. “Avevano messo una specie di annuncio.”

Luciphera gli rivolse uno sguardo interrogativo.

“Telecinesi, magnetismo e alterazione sensoriale,” spiegò lo stilista, “non chiedermi cosa vuol dire.”

La donna sentì un peso atterrarle nello stomaco. “Telecinesi?” mormorò “Alterazione sensoriale?”

“Vedi che hai fatto bene ad andartene. Non sei pronta, piccina.” la rassicurò Uva, tornando ai suoi disegni.

Luciphera si lasciò ricadere contro lo schienale e lasciò vagare lo sguardo per la stanza, come se stesse cercando qualcosa che potesse aiutarla. Cominciava ad avere paura sul serio. Una volta le era andata bene, ma la prossima…? Sì, il desiderio di vendetta era ancora forte, si disse, pensando con rabbia a tutto il dolore che doveva sopportare, ma sembrava sempre meno possibile realizzarlo. Che possibilità aveva lei, che non sapeva nemmeno controllare il suo potere, contro dei telecinetici che controllavano i metalli? Certo, poteva guarire…ma chi le garantiva che non avessero un piano anche per quello? Se le avessero staccato la testa di netto sarebbe guarita lo stesso? Immaginò con un brivido una lama volante che la decapitava tra le risate dei supereroi. E cos’era quella “alterazione sensoriale”? Potevano causare allucinazioni? Farle credere quello che volevano, manipolare la sua mente?

“È una trappola,” mormorò all’improvviso, passandosi una mano tra i capelli.

“Come?”

“Hanno messo l’annuncio sul giornale…sicuramente sanno di me. Vogliono farsi trovare, è una trappola.”

Lo stilista si prese un attimo per riflettere. “Sì,” concordò, “è possibile.”

“Vogliono farmi fuori!” gridò Luciphera, alzandosi di scatto, “di già! Non gli ho ancora fatto niente e già vogliono uccidermi!”

“Anche tu vuoi ucciderli, piccina.”

“Ma io ho un motivo! Loro-”

“Loro sono supereroi,” spiegò pazientemente Uva, “tu sei chiaramente colpevole di tutte quelle rapine. Sei un criminale, è ovvio che vogliono catturarti. Non deve esserci per forza qualcosa di personale.”

“Non…non sono abbastanza forte per loro. Se vogliono farsi trovare hanno già un piano pronto e io non ho nemmeno dei vestiti che non bruciano ogni volta che genero calore!”

“A quello ci stiamo lavorando,” disse lo stilista, facendo un ampio gesto con la mano verso i suoi disegni.

“Ma ora la professoressa sarà sotto protezione!”

“Avrà un collega, no? Un assistente.”

Luciphera gli puntò addosso due grandi occhi spaventati ed annuì lentamente.

“Sì…” mormorò, “sì, è possibile.”

“A tutto c’è un rimedio, piccina.”

“Ma,” insistette quella, “con i poteri come la mettiamo? Non credo di farcela, non sono abbastanza forte!”

“Nessun superpotere del mondo batte un piano ben architettato.”

La fiducia tornò a scaldare il petto di Luciphera, gelato dalla paura. Sì, pensò, era tutta questione di trappole. La loro l’aveva scoperta. Ora il trucco era attirarli nella sua.

“Dobbiamo fare una specie di contro-trappola,” disse, “ripagarli con la loro stessa moneta.” Lo stilista annuì, sempre concentrato sui suoi disegni.

“Esco,” si riscosse la donna, scattando verso la porta, “e quando tornerò ce l’avremo davvero un ospite.”