SuperJay piantò con forza il piede per terra, causando un arresto improvviso del monopattino che per poco non li fece cadere tutti e tre.
“Ma cosa è successo?” chiese per l’ennesima volta, esasperata. SuperFra strinse i denti.
“Non lo sappiamo.”, disse con tono spaventosamente calmo.
“Non ho capito niente di quello che è successo!” insistette SuperJay.
“Nemmeno noi, Jay.” mormorò SuperSam, tra lo spaventato e lo sconsolato.
“Ma voglio capire,” continuò la collega, testarda, “non ha quasi senso!”
“È tutta la vita che non capisci niente, proprio ora vuoi cominciare?” sospirò SuperFra, scendendo dal monopattino per sedersi sul marciapiede. Avevano imboccato vicoli e stradine secondarie per evitare di attirare l’attenzione.
“Credete che quella sia la stessa persona che ha rapinato la banca?” persistette SuperJay. SuperFra alzò gli occhi al cielo.
“È ovvio, Jay,” rispose SuperSam, paziente, “il davanzale che scottava, l’erba bruciata…non è una coincidenza. Penso proprio che abbiamo avuto il nostro primo incontro con la supercattiva di turno. E credo anche che sia l’autista del camion che ci ha investiti.”
SuperFra mormorò qualcosa come “ovvio” e si tolse il casco per passarsi una mano tra i capelli. Il monopattino cominciò a vibrare.
“Attenta, Fra,” disse piano SuperSam, che non era certo di volersi far sentire.
“E cosa ci faceva la supercattiva di turno dalla professoressa Schiaffino?” domandò ancora SuperJay.
“Non lo sappiamo,” ammise SuperFra dopo un attimo di silenzio, “forse cercava risposte anche lei.”
“E perché si è buttata dalla finestra allora?”
“Perché ha visto noi.”
“E di cosa aveva paura?” SuperJay stava alzando la voce per la frustrazione.
“E torniamo al problema principale,” sospirò SuperFra, alzandosi. “Jay, nessuno sa dei nostri poteri! Lei può fare quelle cose col calore, darà per scontato che siamo forti anche noi! E se ha letto la tua pubblicità ne avrà avuto la conferma.” aggiunse, fulminandola con lo sguardo.
“D’accordo, ma come ha fatto a rimettersi a posto la gamba così? Sarà tipo…insensibile al dolore o qualcosa del genere?”
“Può guarire,” disse SuperSam, ricordando con un brivido la macabra scena, “magari ha due poteri. Non so.”
Seguì qualche minuto di silenzio, in cui i supereroi si perdettero ognuno nei propri pensieri, chi preoccupato, chi spaventato, chi ancora evidentemente confuso.
“Non è un male però,” esordì infine SuperJay. “Se la supercattiva ha paura di noi non ci vedo niente di svantaggioso”.
“Ma eri in bagno quando hanno distribuito i cervelli?” si spazientì SuperFra, alzandosi. SuperSam rinsaldò la presa sul monopattino. “Se ci teme così tanto vuol dire che si assicurerà di essere ottomila volte più forte di noi prima di attaccarci…e lo è già! Non capisci che non abbiamo nemmeno una possibilità di uscirne vivi?” e calciò un sassolino.
“Forse dovresti rimetterti il casco,” suggerì SuperSam, guardando preoccupato un cartello che si piegava sempre di più in direzione di SuperFra. Questa obbedì malvolentieri e si calcò lo scolapasta in testa, senza però preoccuparsi di far uscire le ciocche dai forellini.
SuperJay abbassò lo sguardo.
“E cosa dobbiamo fare allora?” disse, sconsolata, “sperare che non abbia niente contro di noi? Siamo supereroi adesso. Non possiamo lasciarla a piede libero, chiaramente non ha buone intenzioni.”
“Ci penserà la polizia,” sbottò SuperFra, “non possiamo farci niente, noi.”
“Ma la polizia non è in grado di-”
“Nemmeno noi, Jay! Come fai a non vedere le cose come stanno! Siamo inutili! Inutili!”
“E cosa vuoi fare allora!”
SuperFra parve riflettere per qualche attimo.
“Niente,” rispose infine, “proprio niente. Dobbiamo andarcene di qui. Se siamo noi il suo obiettivo possiamo anche iniziare a organizzare il funerale.” SuperSam sospirò: aveva pensato la stessa cosa.
“Ma…” obiettò SuperJay, “ma siamo dei supereroi! Città ha bisogno di noi!”
“No, Jay, Città ha bisogno di chi può proteggerla, e noi non possiamo.” tagliò corto SuperFra.
“Vuoi dire…” disse lentamente SuperJay “che siamo i supereroi che Città si merita, ma non quelli di cui ha bisogno?”
“Jay, due mesi fa ti avevo promesso che se avessi citato Batman un’altra volta ti avrei sbattuta fuori di casa, e poi non c’entra niente!” abbaiò la supereroina, mentre SuperSam si sforzava sempre di più di tenere il monopattino.
“Ma lo siamo, no?” insistette SuperJay. SuperFra non seppe mai cosa la trattenne dal saltare al collo della collega.
“Sì,” si affrettò ad intervenire SuperSam, “sì, ok, lo siamo. Che ne dite di tornare a casa adesso?” e forzò un sorriso. Dopo qualche attimo, le colleghe salirono riluttanti sul monopattino.
“Non me ne vado da Città,” sussurrò SuperJay all’orecchio di SuperFra. SuperSam, concentrato sulla guida, non la sentì. “Non è così che deve andare.”
“Jay, questa è la vita vera, non un fumetto!” sibilò SuperFra tra denti serrati, “la capisci la differenza?”
“Non voglio andare via da qui, voglio essere un eroe.”
“Bene, lo faremo scrivere sulla tua lapide: ‘qui giace quel che resta di Jay, aspirante eroe.'”
“Non mi lascerete da sola.”
“No, Jay,” SuperFra girò la testa per guardare negli occhi la collega, “perché appena ti renderai conto di come stanno le cose ci seguirai a ruota.”
“Bene. Staremo a vedere.”
“Staremo a vedere.”