Capitolo 23 – Marionetta

Era molto presto quando un’ insonne SuperJay scese in cucina per farsi un caffè. SuperFra era rimasta dove i colleghi l’avevano lasciata la sera prima, a leggere attentissima il giornale sull’asse da stiro.

“Trovato niente?” le chiese SuperJay.

“Niente di riconducibile ai cloni o a un eventuale supercattivo” le rispose la collega stropicciandosi gli occhi stanchi. “Nessuna rapina, nessun omicidio. Ci sarebbe un tizio che è sparito ma non c’entra niente, è un sarto o qualcosa del genere.” Sbadigliò. “Nessuno di importante. Sam dorme ancora?”

“Mhmh” fece SuperJay, spostando le tendine per controllare se ci fosse già qualcuno all’accampamento dei fan. Quattro persone erano arrivate di buon mattino e osservavano la luce debole che veniva dalla finestra della cucina.

SuperFra chiuse il giornale e cominciò a dondolarsi con la sedia, pensosa.

“Come mai non hai dormito?” le chiese SuperJay, senza distogliere lo sguardo dalla finestra. La collega si strinse nelle spalle.

“Così, pensavo. È che non so più a cosa ormai. Di quel numero non si sa niente” e fece un gesto con la testa verso il frigorifero “del presunto supercattivo nemmeno…”

“Ehi” SuperSam fece capolino dalla porta della cucina. “Caffè?” dalle colleghe giunsero vaghi mormorii di assenso.

“Mi chiedevo,” fece SuperJay, scrutando la piccola folla accampata fuori dal Quartier Generale, “in questi giorni siamo diventati praticamente famosi, ma perché nessuno ci ha chiamati?”

“Forse perché non abbiamo il telefono?” disse secca SuperFra.

“Oh…già.” mormorò la collega, stringendo con entrambe le mani la tazza di caffè che SuperSam le porgeva. Seguì un momento di silenzio, nel quale tutti bevvero pensosi.

“Su,” si riscosse infine SuperSam, “usciamo.” SuperFra gli rivolse uno sguardo stupito.

“Ma c’è già gente fuori!” si lamentò.

“Non importa, dobbiamo uscire. Andiamo a casa del giornalista.”

SuperJay distolse lo sguardo dalla finestra per rivolgerlo al collega.

“No, Sam.” disse SuperFra, decisa. “Sarà al lavoro. Cosa ci andiamo a fare?”

“Appunto.” il supereroe accennò un sorrisetto. “Se ieri sera era con qualcuno sarà al lavoro. Allora andiamo via. Ma se è ancora a casa vuol dire che c’è qualcosa che non va. Ho pensato ad alcune cose,” proseguì pulendosi gli occhiali sulla maglia (più per la drammaticità dell’effetto che per un reale bisogno, sospettava SuperFra) “per esempio, era piuttosto chiaro che la porta non l’aveva chiusa lui.”

“Sì,” rispose SuperFra, paziente, “quello l’avevamo già stabilito, ma non significa che non fosse in compagnia…capito no? Insomma, se io volessi fare altro non mi importerebbe della-”

“Ugh, sì!” la interruppe SuperSam, alzando una mano per fermarla. “Non andare oltre. Comunque sì, l’avevamo già stabilito, ma che mi dici del giornale?” SuperJay aggrottò le sopracciglia, confusa. “Appena glielo abbiamo chiesto ce lo ha dato. Era come se lo avesse già pronto lì vicino alla porta.”

“Non ha tavoli vicino alla porta.” lo smontò SuperFra, che aveva l’abitudine di registrare tutti i particolari di una stanza, “io ci sono stata a casa sua. È praticamente vuota.”

“E allora,” incalzò SuperSam, “qualcuno glielo ha passato! Capisci dove voglio arrivare?”

“Poteva comunque essere una donna!”

“E come faceva a sapere che volevamo proprio il giornale?” fece SuperJay, facendo voltare di scatto i colleghi.

“È…giusto.” disse lentamente SuperSam, senza smettere di fissarla. “Sì…volevo dire proprio quello.”

“Che c’è?” si difese la supereroina, “Non posso dire cose sensate io?” SuperFra alzò un sopracciglio.

“Comunque,” riprese SuperJay, “qui sta arrivando gente. Se proprio non vogliamo farci vedere potremmo sempre telefonare.”

“Ma non abbiamo il telefono!” esclamò SuperSam.

“Non scoraggiarti Jay, una cosa sensata in un giorno è già un progresso enorme.” disse SuperFra senza riuscire a nascondere un sorriso. “Meno male,” sussurrò poi all’orecchio di SuperSam, “per un attimo ho temuto che fosse un clone.”

Fortunatamente la folla non era grande quanto SuperJay aveva sperato e SuperFra aveva temuto e, una volta indossati i costumi, i tre supereroi riuscirono ad arrivare senza problemi a casa del giornalista.

SuperJay fece per bussare, ma SuperFra la bloccò con un gesto e, premendosi un dito sulle labbra, con l’altra mano indicò la serratura per far notare ai colleghi qualcosa che, col buio, era loro sfuggito la notte prima: segni di forzatura. I tre si scambiarono uno sguardo grave. Facendo il meno rumore possibile SuperFra posò una mano sulla maniglia e la girò lentamente: la porta era aperta. SuperSam non riuscì a trattenere un gemito di apprensione. La supereroina spinse piano la porta, il cervello che lavorava a piena potenza cercando di immaginare i possibili scenari a cui avrebbero potuto assistere una volta entrati nella casa. Quello che videro, tuttavia, li colse completamente di sorpresa.

La grande stanza era quasi spoglia, se non per una poltrona, un divano una lampada piuttosto antiquati e un telvisore economico poggiato sul pavimento. Al centro si trovava un tappeto dall’aspetto piuttosto costoso. Il giornalista sedeva nella poltrona, sfoggiando un gran sorriso. Sulle gambe aveva appoggiato il giornale di quella mattina.

I tre supereroi rimasero immobili per un minuto buono, chi stupito, chi sollevata e chi, come SuperFra, un poco delusa dal non trovarsi davanti al suo primo caso di omicidio.

Nessuno disse niente.

“Hem,” si schiarì la gola SuperSam, rompendo il silenzio. Il sorriso del giornalista si allargò passando dal cortese all’inquietante, ma non disse niente.

“Ciao Biggi.” mormorò SuperJay salutando con la mano. SuperFra gliela schiaffeggiò.

“Cosa c’è?” abbaiò, sospettosa. Senza smettere di sorridere, il reporter scosse la testa.

“Cosa c’è?” ripeté la supereroina, alzando la voce. L’altro, per tutta risposta, si strinse nelle spalle.

“Ma non puoi parlare?” proseguì SuperFra, sempre più brusca. Biggi annuì, sempre con il solito sorriso. Lei aggrottò le sopracciglia.

“Nel senso sì, puoi, o sì, hai ragione, non posso?” il giornalista annuì di nuovo.

“Ma puoi o non puoi?”

Silenzio.

“Posso” disse infine il reporter lentamente. I supereroi si scambiarono uno sguardo.

“Ma cosa c’è?” ripeté per l’ennesima volta SuperFra. Biggi scosse la testa con maggior vigore e si strinse nelle spalle. Poi finalmente parlò attraverso quello strano sorriso.

“Ieri sera ero con una donna. Va tutto bene. Oggi entro al lavoro più tardi. Volete il giornale di oggi?”

SuperFra annuì lentamente, sospettosa come non mai. Il giornalista si alzò e, come se avesse paura di muovere ogni passo, le porse il giornale arrotolato. Senza distogliere lo sguardo indagatore dagli occhi di lui, la supereroina lo prese.

“Ascoltami bene,” gli sibilò a denti stretti, “o mi dici cosa non va, oppure-” ma si interruppe nel momento in cui il reporter si appoggiò con nonchalance proprio ad un tavolino accanto alla porta. SuperFra sgranò gli occhi.

“Ma…” cominciò, e di nuovo si interruppe. D’improvviso i suoi occhi saettarono dal giornale a Biggi e di nuovo al giornale. Poi, d’un tratto, si riscosse. “Grazie del giornale, a dopo, ciao.” disse in fretta e, trascinando i colleghi con sé fece dietro-front e si chiuse la porta alle spalle.

“Non c’era due giorni fa!” esclamò quando furono a metà del vialetto, “il tavolo non c’era!”

SuperSam considerò per un attimo la possibilità che la collega si fosse sbagliata, ma anche se così fosse stato nessuno ormai poteva negare che c’era qualcosa di strano nel comportamento del giornalista.

“E guardate qua,” riprese SuperFra con agitazione febbrile, “guardate!” e sventolò in faccia ai colleghi il giornale arrotolato. SuperSam le prese gentilmente il polso per fermarle il braccio e inclinò la testa, cercando di leggere. SuperJay, però, sollevò un indice e indicò lentamente una sbavatura blu, attirando l’attenzione del supereroe.

“Ma che cos’è?” fece quello. SuperFra si portò le mani alla testa.

“Ma non è ovvio?” da quanto lasciava trasparire lo sguardo dei colleghi, non lo era. “Aveva qualcosa scritto sulla mano! Non parlava perché stava eseguendo degli ordini! Se li era scritti sulla mano!” SuperSam si coprì la bocca con la mano guantata.