Capitolo 20 – Sequestrato

Erano passate le 4 quando il reporter tornò finalmente a casa. Se si fosse addormentato in quel preciso istante avrebbe dormito solo tre ore, pensò amaramente. Tanto valeva portarsi avanti col lavoro e scrivere un articolo che avrebbe scagionato i supereroi dalle accuse del suo collega. Che faccia tosta che aveva, quel Tondelli. Avrebbe dormito in ufficio.

Abitava nella casa che aveva ereditato da uno zio, casa fin troppo grande per lui, con un giardino incolto e tremendamente triste, completamente abbandonato a se stesso. Il piano superiore era del tutto inutilizzato se non per il bagno e la camera più piccola, ingombra di fogli e di vestiti. Le altre stanze non erano mai state aperte e, poteva solo immaginare, erano desolate e polverose. A lui non serviva molto spazio, soprattutto non dello spazio che non aveva tempo per pulire.

Frugò nelle tasche per cercare le chiavi ma, salito il primo scalino, si accorse con una fitta allo stomaco che non sarebbe servito: la toppa mostrava chiari segni di forzatura. Con il cuore a mille si precipitò sulla porta, immediatamente rendendosi conto della stupidità di quello che faceva: se ci fossero stati dei ladri in casa forse sarebbe stato meglio non farsi notare troppo. Tirò fuori il telefono e compose il numero della polizia, ma senza premere il tasto di chiamata. Spinse timorosamente la porta. Non si aprì. Il reporter aggrottò le sopracciglia, perplesso. Chiunque avesse provato a scassinare la serratura, evidentemente non c’era riuscito. Decise di chiamare comunque la polizia, ma non appena sollevò il telefono per portarlo all’orecchio una voce tra i cespugli lo fece voltare di scatto.

“Ahi! Ti sembra il caso?” diceva una voce familiare.

“Non per fare la guastafeste ma credo che la copertura sia saltata. Probabilmente perché puzzi.” disse piano una seconda voce.

“La vuoi piantare?”

Improvvisamente chiavi e telefono volarono verso il cespuglio. Il reporter si sentì gelare. Fece per voltarsi e fuggire, ma non poté muoversi perché qualcosa lo afferrò da dietro, stringendogli le braccia lungo i fianchi. Una mano che profumava di detersivo gli venne premuta contro la bocca. Tentò di dimenarsi e di urlare, ma l’uomo che lo bloccava era più forte di lui, e lo spinse contro il muro, di modo che non potesse vedere niente. Le voci tra i cespugli parlavano concitate tra di loro, ma non riusciva a capire cosa dicessero. Sentì il rumore di chiavi e la porta aprirsi. L’uomo lo spinse dentro casa e lo lasciò andare.

“Sentite,” cominciò il reporter, il panico nel petto e nella voce. Non conoscendo il preciso numero dei suoi aggressori decise che era il caso di essere diplomatici. “Sentite, lo so che la casa inganna ma io non ho molti soldi, sono un giornalista e-”

“Tranquillo, sappiamo quanto sei sfigato, non ci interessa.” disse dal buio la prima voce. La seconda borbottò qualcosa di incomprensibile. “È proprio per la casa che siamo qui” riprese la prima voce.

Il reporter inciampò sul tappeto mentre indietreggiava e barcollò, confuso. Non riusciva a vedere niente al buio.

“Conosco dei supereroi!” disse con voce tremante, rendendosi conto di quanto suonava idiota.

“Lo sappiamo.” disse fredda la prima voce. “Li conosciamo anche noi.”

Uno dei suoi aggressori aveva trovato l’interruttore, e accese la luce. Il giornalista, già in equilibrio precario, cadde all’indietro per la sorpresa.

“Fra?” sussurrò con un filo di voce.

“Più o meno,” disse una voce alla sua destra. Il reporter si voltò e vide SuperJay, vicino all’interruttore.

“Ah, e scusa per prima.” disse SuperSam, appoggiato alla porta. “Non volevo essere violento”.

Biggi non credeva ai suoi occhi. “Non è possibile che siate arrivati qui prima di me” mormorò. “Ero con voi, vi ho lasciati a casa vostra.”

I supereroi si scambiarono uno sguardo.

“Ehm,” cominciò SuperFra, “non eravamo esattamente noi.”

“Mi state dicendo che ci sono due trii di supereroi identici? E chi sono quelli veri?” chiese il reporter, alzandosi dal pavimento solo per mettersi a sedere sulla poltrona, ancora sotto shock.

“Mettiamola così,” tagliò corto SuperFra, “lo siamo entrambi. E abbiamo bisogno di stare qui finché non potremo tornare in casa nostra.”

SuperSam chiuse a chiave la porta alle sue spalle.